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Citroen DSuper

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Anno 1972, targhe nere del 1977 (PrinceMax).

Data: 20/08/2014
Commenti: 7
Visualizzazioni: 1216
Commenti
#1 | peppecantarella il 20/08/2014 09:21:44
Messa in castigo, faccia al muro Grin
#2 | Total III il 20/08/2014 18:28:05
In castigo ci dovrebbe andare il tappezziere che ha realizzato quella orrida tappezzeria in pelle bianco ghiaccio... Grin
Scherzi a parte, non pare malaccio, pur mostrando inequivocabili segni di uso quotidiano.
La modifica del retronebbia una volta tanto non è così invasiva.
#3 | silver il 20/08/2014 23:11:41
Ma quante DS ci sono ancora in giro? Quasi ogni giorno ne compare una sul nostro sito!
#4 | Markino il 20/08/2014 23:23:31
Ma quante DS ci sono ancora in giro?

Credo sia molto probabile che in Italia ne esistano ben oltre un migliaio.
Come ho forse già ricordato, al raduno DS di Albinea (RE), che ho visitato con Fil82 lo scorso maggio, erano presenti poco più di 70 esemplari, molti dei quali giunti da province limitrofe o comunque da zone non particolarmente distanti. Tralasciando qualche equipaggio francese o svizzero, le vetture già comparse sul sito erano, se non erro,.....una (sic !); due dall'altro ieri, con l'avvenuta pubblicazione della DSuper (almeno così mi è sembrata) bleu Camargue, che qui compare ovviamente in altro contesto.
ID/DS da far cascare nell'obiettivo ce ne sono ancora a vagonate Smile
#5 | Total III il 21/08/2014 05:32:19
C'è da considerare che il mercato italiano fu quello in cui si registrarono le maggiori importazioni di DS. Ciò può stupire, se si pensa a quanto lontana fosse l'avveniristica berlina Citroen dal nostro modo di intendere l'automobile. Ma, si sa, gli italiani sono sempre stati cultori del bello e con spiccato senso artistico. Inoltre la DS fu disegnata da un italiano... Smile
Certo, nei demolitori ne sono finite a vagonate, basti pensare che durante tutti gli anni ottanta nemmeno le volevano ritirare più, tante erano quelle in giacenza. In molti sono riusciti a conservarla, seppur in condizioni precarie, e ora si apprestano a raccogliere i frutti dell'opera rivendendo marcioni inchiodati a prezzi da serial killer.

Molte sono state, in questi anni, le importazioni dalla Francia. Si trovano a prezzi più umani, questo è vero, ma la cosa non mi fa impazzire di gioia: le targhe europee non si possono guardare sulla DS...
#6 | Markino il 21/08/2014 11:59:16
Avrei detto che il mercato d'esportazione europeo dove ne furono assorbite di più fosse quello tedesco, ma solo per una valutazione ad occhio delle possibilità economiche e dei volumi complessivi di quella piazza.
Da noi, credo si possano distinguere almeno tre fasi. Fino al 1961, le ID/DS furono vendute in numeri piuttosto esigui - anche se rilevanti in rapporto a molti altri modelli stranieri - dato il peso fiscale che gravava sui veicoli importati. Per le vetture costruite all'interno del mercato comune, le cose migliorarono decisamente con l'abolizione dei dazi avvenuta dal gennaio 1962, che favorì con vigore la diffusione delle vetture estere, la cui incidenza sul nostro mercato raggiunse nel 1963 il 20% circa del totale. Proprio questo fu uno dei principali motivi d'allarme per il Governo e le autorità monetarie, che, per arrestare il surriscaldamento dell'economia e il peggioramento della bilancia commerciale dopo oltre cinque anni di boom, attuarono la stretta fiscale e creditizia che fece del 1964 un anno difficile. Dal 1962, la DS poté diffondersi con più capillarità soprattutto nei principali centri urbani, e divenne non di rado la vettura preferita da uomini d'affari e borghesi dalle solide finanze: per fare qualche esempio, il ricco editore Giangiacomo Feltrinelli ne possedette almeno una, e, se non ricordo male, il proprietario della "BAM", l'industria metalmeccanica che fa da cornice allo strepitoso "La classe operaia va in paradiso" (1971), si fa largo tra l'assembramento degli operai a bordo di una ID monofaro amaranto.
Il vero boom sul nostro mercato si ebbe tuttavia con le nuove serie bifaro; intorno al 1969-'70, le vendite delle ID/DS raggiunsero un consuntivo annuo nell'ordine molto spannometrico delle 10mila unità, e tale, suppergiù, si mantenne anche in seguito, quando il modello aveva conseguito il massimo livello di affidabilità, finitura e prestazioni. Un quantitativo senza dubbio ragguardevole all'epoca per un'auto d'importazione e in quella fascia di prezzo, anche tenendo in considerazione le caratteristiche di eccellenza, che facevano la differenza rispetto alla concorrenza.
Il campione di cui dispongo, formato dagli oltre 250 esemplari postati sul sito, e dagli altri 130 circa da me censiti in tempi recenti, mi fa ritenere che la gran parte delle bifaro sopravvissute riportino ancora oggi una targa nera, più spesso la quadrotta d'origine o di poco successiva, mentre gli acquisti all'estero hanno riguardato non di rado le monofaro, da noi decisamente più rare (a occhio, meno di un decimo delle bifaro), nonché quasi tutte le derivate Cabriolet e Coupé, e qualche Break (anche se parliamo di poche decine di unità).
Per chiudere, le demolizioni: nei tre piccoli centri che setacciavo ogni sera in zona porto intorno all' '86-'88, ne arrivavano ben poche, e anche in altri sfasci nelle zone del nord-ovest che mi erano consuete non erano una presenza frequente. Forse, già allora, in molti iniziavano a "tesaurizzarle" Smile
#7 | PrinceMax il 16/05/2021 01:00:21
Rivista in questi giorni. Pimpante e arzilla come non mai!
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